Permalink
non sono ioAttaccatemi

(esame di coscienza di un attivista)

Ma che fine hanno fatto quelli del Movimento? Quelli di Genova, insomma?
Casarini, si sa, litiga con Bertinotti su violenza e non violenza, finalmente un argomento originale. Agnoletto scrive libri e risponde solo di sé stesso. E poi? Forum sociali, lilliput, che fine hanno fatto? C’è stata una crisi? (Ce ne sono state tante). C’è stato un riflusso? (Anzi, diversi). C’è stato un ritorno al privato? Non che ci fosse un granché a cui tornare. Esagero se dico che il privato si è fatto pubblico come non mai? Una volta per fare opposizione dovevi tenerti informato e andare le riunioni, adesso basta fare la spesa. E tutta questa stanchezza in giro, non crediate, è una stanchezza molto politica. Berlusconi sostiene che sto meglio, ma in effetti mi sembra di lavorare il doppio dell’anno scorso. E guadagno meno, anche se l’Istat non ci crede.
E allora che fine vuoi che abbiano fatto, quelli del Movimento. Di sicuro non sono passati alla Casa della libertà. Probabile che non si facciano vivi perché hanno un sacco d’impegni, come te e come me. Resta un vago senso di colpa e la sensazione che le cose sarebbero potute andare meglio, se. Se cosa?

Oggi a Grottammare (AP) comincia la terza assemblea nazionale di Attac Italia. Lo sapevate? Avete mai sentito parlare di Attac Italia?
Attac sta per Associazione per la Tassazione delle Transazioni finanziarie e l’Aiuto ai Cittadini. È un’associazione nata da un gruppetto di studiosi francesi. In Italia arrivò proprio alla vigilia di Genova, e prese subito una via diversa. Da quel che mi è parso di capire (forse mi sbaglio), i francesi lo vedevano come una specie di think-tank anti-neo-liberista, un gruppo di pressione di intellettuali. Ma in Italia abbiamo una vocazione a volgarizzare tutto quanto, e già alla prima convocazione eravamo già in grado di riempire un palazzetto (e nessuno si conosceva). In seguito con molti ci siamo persi di vista, ma qualche palazzetto abbiamo continuato a riempirlo (memorabile Firenze, novembre 2002), e anche oggi continuiamo a essere in troppi per entrare in un think-tank.

Piccolo esame di coscienza personale: quando io sentii parlare di Attac per la prima volta, avrei potuto accorgermi che cercavano soprattutto intellettuali, ma me ne fregai. Ho preferito portare gli striscioni, fare servizio d’ordine (un’idea abbastanza balzana, se ci penso), montare banchetti, al massimo scrivere “qualche pezzo di colore”. Perché, contrariamente a quanto si crede di solito, fare l’intellettuale è faticoso. Bisogna farsi delle idee. Io invece speravo che me ne arrivasse qualcuna a buon mercato.
Di tutto l’apparato scientifico di Attac intuivo soltanto una cosa, che avevo sempre trovato sacrosanta: il mondo è un problema economico. Ergo, bisogna studiare l’economia. E mi rivedevo al liceo, mentre dicevo alla prof: non il latino, prof, la lingua che dovevate insegnarci è l’economia. Sì, bravo, però nel frattempo erano passati diversi anni, e cosa avevi fatto, Ognibene? L’avevi poi studiata, l’economia?
“Ehm, no. Mi sono laureato in lettere”.

E allora, scusa, non è senza dubbio colpa della tua prof d’italiano se sei rimasto un pirla (ora che ci penso, alla primissima assemblea di attac ci incontrai pure lei).
Attac nasceva come “Gruppo di Autoeducazione all’Azione”: bravi, bene, sottoscrivo in pieno. Io però preferivo vendere libri ai banchetti piuttosto che leggerli. Con tutto quello che c’era da fare, scusate.

La cosa paradossale è che, per quanto io sia rimasto un bell’ignorante in materia, il senno del poi ha dato ragione a me piuttosto che a un Fazio o a un Tremonti. Fazio all’inizio del 2002 sosteneva che la Tobin Tax era impossibile perché “non si possono controllare miliardi di computer”. Miliardi? Davvero il Governatore della Banca d’Italia era convinto che nel mondo ci fossero miliardi di computer, e che in tutti transitassero le transazioni finanziarie? Ok, io sono un ignorante in economia, ma Fazio sarebbe un esperto? E Tremonti che proponeva l’A-tax, cioè una tangente da devolvere a enti di beneficenza invece che allo Stato, una modo per trasformare definitivamente cose come San Patrignano in enti parastatali: ne ha più sentito parlare nessuno?
Invece si è sentito parlare di junk bond. Sapete chi è stato il primo a parlarmi di junk bond? Attac. E di dumping? Attac. E chi ha tradotto e pubblicato il primo libro italiano sui paradisi fiscali? Mi pare proprio Attac. E le migliori analisi sul WTO, per cui alla vigilia di Cancun sapevamo già che sarebbe andata male? Attac. Chi è che si è accorto dei danni che avrebbe potuto causare sulle democrazie il GATS, l’accordo multilaterale dei servizi? Non so voi, ma nel mio caso è stato Attac. Ma vedi che allora funziona, l’autoeducazione all’azione. E se è funzionata in questi anni, in cui io mi sono autoeducato al 10%, figurati se mi fossi impegnato di più. Ma perché non mi sono impegnato di più?

Attac, si sa, secondo i francesi doveva essere una cosa, ma gli italiani l’hanno trasformata in un’altra cosa: un movimento italiano di sinistra. Vogliamo dire la parola un po’ d’annata: extraparlamentare? Ora, noi non siamo più intelligenti di chi è venuto prima di noi. Al massimo ci possiamo arrampicare sulle spalle di qualcuno, ma a volte non c’è nemmeno molto su cui arrampicarsi.
La sinistra extra in Italia ha un movimento oscillatorio talmente regolare e prevedibile, che avrebbe già potuto descriverlo uno di quei maledetti studenti pisani, Galileo. Fa così: esplosione, espansione, collasso, gruppettismo, riflusso (i gruppetti vanno a sbattere l’uno contro l’altro e fanno le scintille), risucchio, implosione. E poi di nuovo: esplosione, espansione, collasso, gruppettismo, riflusso… è successo ai nostri padri e ai nostri nonni, perché non dovrebbe succedere a noi? Siamo forse più intelligenti? Io no (posso parlare solo di me, in effetti). A Genova era pieno di signori che continuavano a dire: “mi sembra di essere tornato nel 196… o nel 197…”. Nostalgie a parte, l’impressione di trovarsi in un copione già scritto era molto forte.
Era scritto che il 2001 dovesse essere un anno di grandi entusiasmi. Poi c’è stato quel famoso giorno di settembre, e di colpo in bianco ci è saltato il paradigma. Noi avevamo in mente la lotta al neoliberismo, ai potenti della terra, allo sfruttamento che oggi si chiama speculazione. Di colpo saltava fuori che il problema era l’Impero, lo scontro di civiltà, la guerra globale. Attac diceva: parliamo di economia. Il mondo rispondeva: no, parliamo di guerra. Poteva esserci gara? La guerra è infinitamente più sexy. Le bandiere ai balconi non le metti per i junk bond, anche se i junk bond ti hanno fatto più male dell’uranio impoverito. Ma il manifestante ha bisogno di forti tensioni ideali, di lottare contro l’Impero del male (proprio come Bush, in fondo: lui e Toni Negri hanno molto in comune). Lui vuole odiare gli Stati Uniti d’America. Vagli a spiegare che il vero nemico può essere, non so, il Liechtenstein.

“Perché il Liechtenstein?”
“Perché è un paradiso fiscale”.
“Ah”.

Abbiamo tenuto duro. Appena si è abbassato il polverone dell’Afganistan, abbiamo lanciato una campagna in grande stile per presentare una legge sulla Tobin Tax in parlamento. Servivano 50.000 firme: ne abbiamo raccolto più di 180.000. Firme vere, di persone fermate per strada o a un concerto, a cui veniva spiegato cos’era la Tobin Tax e a cosa sarebbe servita; firme autenticate in migliaia di comuni di tutt’Italia. Rispetto all’anno prima, avevamo imparato a conoscerci, a volte a stimarci, a volte a volerci bene. E avevamo fatto un gran lavoro.

“Ma la proposta di legge, poi, che fine ha fatto?”
“È ancora lì, in Parlamento”.
“Ma ne discuteranno un giorno?”
“Ma sì, un giorno ne discuteranno”.

Poi ci fu l’anniversario di Genova. Poi il forum di Firenze. Poi, di colpo, esistette solo l’Iraq. La gente si mise a mettere le bandiere ai balconi e il Movimento si gettò a pesce sulla nuova ondata, con l’aria di chi boccheggiava già da un pezzo. Attac cosa poteva fare? Insistere sull’aspetto economico, forse. Ribadire che l’Impero è sì un impero, ma è pur sempre un’entità neoliberista (ma sarà vero?) L’economia è la grande assente della vulgata neocon. Per loro c’è solo la democrazia, una cosa che un giorno si pianta e un altro giorno, improvvisamente, cresce. Ci credono veramente, o è solo un modo per occultare ancora e sempre i rapporti di proprietà? È difficile entrare nelle loro menti (in quella di George W Bush, soprattutto). Ma è difficile anche cercare di appiccicare l’economia a qualsiasi problema. Alla fine l’unica cosa che ti viene da dire è: Lo fate per il petrolio. Che è probabilmente vero, ma è anche una banalità. Ma anche noi siamo persone banali, a volte. Non siamo mica intellettuali. Ci manca il tempo e ci è mancata la pazienza.

Mentre i liberatori cannoneggiavano Bagdad c’è stato un altro brutto episodio, che oggi si tende a dimenticare: il referendum sull’articolo 18. Una campagna a perdere, fatta anche con l’intento di dividere un po’ di sinistra e di emarginare il Sig. Cofferati: cosa che è puntualmente avvenuta. Dopodiché, di articolo 18 non ha parlato più nessuno. Ma molti, non si sa perché, si sono guastati in bocca. Guardacaso gli storici litigi, le furenti lettere di dimissione, le polemiche, etc… sono accaduti proprio nei mesi successivi. Se vi devo dire chi ha iniziato e perché, non me lo ricordo, e neanche me lo voglio ricordare. Viste da un attivista lontano tutti questi distinguo sembravano solo un momento dell’eterno oscillare galileiano: collasso, riflusso, scazzi interni per questioni personali, risucchio, flop.
In controluce, la minaccia dei “professionisti della politica”: quelli che mentre tu sgobbi tramano alle spalle, e poi quando non ne poi più e senti il richiamo del privato, si aggrappano al posto di comando e non lo lasciano più. Ma le cose sono davvero così? Non sarà, semplicemente, che certe persone hanno più capacità di altre, più flessibilità di altre, più idee di altre (anche perché magari hanno più esperienza di altre)? Ma la meritocrazia è proprio vietata? E non è un po’ colpa nostra, se a un certo punto ci siamo sentiti stanchi e abbiamo iniziato a delegare? Quanto abbiamo odiato questa parola, delegare. Ma credevamo davvero di poterne fare a meno?

La questione è aperta. Tutte le questioni sono aperte. E nei tempi lunghi saremo tutti morti, lo so perché lo ha detto un economista. Ma nel frattempo, non è una consolazione sapere di avere avuto ragione su Parmalat, su Cirio, sulla speculazione finanziaria, sul WTO? No. No, perché tutto quello che è successo io l’ho capito al 10%. Perché non ho studiato. Me lo diceva sempre la prof, sì, Ognibene, tu sei bravino, però studia. E io niente. Ma da domani…

Guardo l’orologio. Oggi è già domani. Sei ore alla sveglia. E poi dieci ore. Dieci. Come se fosse normale. È la mia vita. È così. Non riuscirò mai a studiare, è inutile.
Poi ci ripenso. Se non riesco a studiare, è perché devo lavorare. Una volta si chiamava alienazione. Ed è un problema esistenziale ed economico. Se togli la mia esistenza, che interessa solo a me, ti resta solo il problema economico. L’associazione che cerca di interpretare il mondo come un problema economico è Attac. È la mia associazione. Domani vado a Grottammare.
Comments

Permalink
fareste l'elemosina a quest'uomo?Timeo Tremontes et Dona Ferentes
Se sapessi con sicurezza che un uomo sta venendo da me per farmi del bene, correrei a mettermi in salvo… (Thoreau)

Caro Wile,
Io non ho niente con la beneficenza e chi ne fa. Certo, non mi piace quella pelosa, stile G8: se state buoni vi paghiamo i soldi delle medicine (da ritirare presso le multinazionali del farmaco).
Stile Usa con Israele: non preoccupatevi per la guerra, ve la finanziamo noi (le armi però le comprate dai nostri fornitori).
Stile Berlusconi, che si fa pubblicità (come se ne avesse bisogno) con gli euroconvertitori che abbiamo pagato di tasca nostra: tante grazie, Presidente, lei sì che sa trattarci con le attenzioni che meritiamo.
Stile Tremonti: sai che trovata l’A-Tax, in concreto lo Stato mi detassa l’uno per cento del mio fatturato e io (di mia spontanea volontà) decido di devolverlo interamente alla Compagnia delle Opere. O a San Patrignano. O a chi mi pare, tanto siamo tutti bravi e buoni. Una tassa così ti fa senz’altro sentire più buono: resti libero di speculare quanto e come ti pare, intanto ti prenoti un lotto in Paradiso, e in più il posto macchina te lo offre lo Stato.

La cosa triste dell’A-Tax, una proposta benefica come tante, è che sia caduta nelle mani di Tremonti, che la usa come una specie di Tobin taroccata (avete notato la somiglianza tra A-tax e Attac?); ancor più triste è che si presti a questo tipo di propaganda una certa stampa cattolica. Beh, direte voi, che c’è di strano? Quelli sono fatti così, tanto bravi buoni e minchioni. Sì, peccato che la prima campagna sulla Tobin Tax in Italia l’abbia fatta la Focsiv, federazione delle ONG cattoliche. Anche se la loro interpretazione di Tobin era diversa da quella di Attac, ci si sarebbe aspettato un minimo di solidarietà dopo Genova: eravamo tutti sotto tiro, o no? È andata diversamente. Intendiamoci, l’A-tax non è una puttanata perché “non è di sinistra”. E neanche perché si tratti di beneficenza. La beneficenza ha una sua dignità. Ma la beneficenza coi soldi degli altri, diavolo. C’è già l’otto per mille. E se sentite come un rumore di sbavate in lontananza, sono i ciellini che si leccano (i baffi). Chi è quell’industriale che non ha qualche partecipazione nel Terzo Settore, un trattore in Somalia, un asilo in Mozambico? Vedrete che troveranno tutti un modo per devolvere l’uno per cento (detassato) a sé stessi. Tutti bravi e buoni, ma mica coglioni.

La Tobin Tax, lei, avrà tanti difetti, ma non è beneficenza. Questo è un punto cruciale: il problema di Tobin non era trovare un finanziamento per tanti bei progetti di sviluppo, ma frenare la speculazione. Il paradosso di Wile è interessante: se un dollaro cambia di mano mille volte, e ogni volta Tobin trattiene lo 0,1 per cento, alla fine non c’è più nulla. Ma proprio questo è il punto: un semplice 0,1 è sufficiente a stabilizzare quel dollaro, a renderlo molto meno svolazzante. Continuerà a cambiare di mano, ma meno rapidamente.
L’economia è una pala di mulino che gira a vuoto: l’80% delle transazioni sono a brevissimo termine (due giorni massimo), pura speculazione. La Tobin Tax è il famoso grano di sabbia che può rallentare (non frenare!) l’ingranaggio della pala. È ragionevole pensare che molti capitali che oggi sono puro flusso telematico cominceranno a cercare dimore un po’ più stabili. Passeranno insomma dagli investimenti a breve termine a quelli a medio e lungo termine. Dalla speculazione all’economia reale.

Quando gli speculatori inizieranno a riconvertirsi in investitori, è lecito immaginare che aumenterà la domanda di lavoro. E che parte di questi investimenti produttivi finiranno nel Sud del mondo. Certo, questo non purifica l’economia (e c’è da ridiscutere il concetto stesso di “sviluppo”): ma la riattiva, è un primo passo. Davvero le multinazionali che cambiano valuta per necessità saranno costrette a ‘tagliare delle teste’? Ma quanto rischiano di dover pagare cambiando valuta due, tre volte al mese? Lo 0,2-0,3% dei profitti? Che taglino sui fondi di beneficenza, oserei dire. E se qualcuno userà la Tobin Tax per giustificare tagli al personale, è facile immaginare che quel personale trovi un posto in un’altra dinamica impresa che prima non c’era perché i potenziali investitori preferivano passare il loro tempo a comprarsi e vendersi valuta su internet.

Quanto al gettito, Tobin lo considerava un “by-product”, un aspetto secondario: roba da niente, quaranta-cento miliardi di dollari. Sulla sua amministrazione il dibattito è aperto. La Focsiv proponeva la Banca Mondiale, con tutte le polemiche che un’idea del genere può suscitare (chi nomina i banchieri mondiali, oggi?). L’idea che va per la maggiore oggi è propone che lo amministrino le Banche centrali. (Nel nostro caso la Banca Europea). In questo modo le Banche ritroverebbero l’autonomia che hanno perso: “La tassa permetterebbe di sottrarre i tassi di interesse nazionali alla necessità di difendere la parità della moneta”. Questa è un’idea portante di Attac: la Tobin Tax serve a ridare alla Politica il primato sull’Economia. È anche, scusatemi, un’idea molto francese: a noi italiani, con la Politica che ci troviamo, non sarebbe mai venuta in mente.

Com’è andata? Ho scritto puttanate? Sono riuscito un minimo convincente? In ogni caso, per favore, non mettetemi alle strette, o (con quanto fiato ho in gola) griderò che io faccio la campagna solo perché in Piazza Mazzini al sabato pomeriggio si conosce un sacco di bella gente. Anzi, adesso vado. Saluti.
Comments (1)

Permalink
non può esistere nulla di simile...Utopia, dice Fazio

Non si può applicare, e lo stesso Tobin l'ha rifiutata: ciò perché i flussi internazionali di capitali sono immateriali, avvengono grazie a sistemi computerizzati per cui noi conosciamo solo i saldi finali. La Tobin Tax non è realizzabile perché colpirebbe le transazioni, non i saldi finali, non si possono controllare 1-2 miliardi di computer.
Antonio Fazio

Chiaro, no?
Avete capito, ragazzi? Fate su i moduli e le penne, si torna a casa. La Tobin Tax non è materialmente realizzabile: se lo ha detto Fazio, che è un tecnico, sarà vero. Andiamo, su, che fa anche freddo. Stasera che si fa? Mah, si potrebbe guardare Roma-Juventus, il match seguito in diretta da un miliardo di telespettatori, come hanno detto su Rai1.

Ehi, no, aspetta un attimo.
Davvero han detto: “un miliardo di telespettatori?”
No, perché mi sembran tanti. Dopotutto al mondo siamo appena sei miliardi. E una buona metà denutriti, non tutti forse hanno i mezzi o la voglia di guardarsi Davids che morde le caviglie di Totti. Ma Rai1 dice che un terrestre su sei guarderà Roma-Juventus. In diretta. Compresi i cinesi, che immagino tifino la Roma: ha gli stessi colori della bandiera! E per la bandiera val bene la pena di svegliarsi alle cinque del mattino! Uno su sei, certo, che ci vuole?
O forse la stima di Rai1 è un tantino esagerata. È discutibile persino che ci sia un miliardo di televisori funzionanti al mondo. Anche ammesso che ogni televisore sia guardato in media da due spettatori, fa cinquecento milioni di teleschermi sintonizzati sull’Olimpico. Non lo so, io non sono un tecnico, però ripeto, mi sembran tanti.

E adesso che ci penso, anche i computer del prof. Fazio mi sembrano un po’ troppi. Un miliardo o due di computer connessi e funzionanti. Vediamo.
Ammetterete che la stima è un po’ approssimata: fa una bella differenza dire “un miliardo” o “due”. Da un tecnico ci si aspetterebbe un po’ più precisione. È vero che in economia un miliardo più o meno non cambia quasi nulla: ma qui si parla di persone, non di dollari. E ripeto, al mondo di miliardi persone ce n’è appena sei. Dire “due miliardi di computer” significa assegnare un computer connesso e funzionante a un terrestre su tre. Alla faccia del digital devide! Se si pensa che metà di questi terrestri non hanno mai fatto una telefonata in vita loro, bisogna che qualcuno, per la legge della statistica, faccia trading on line contemporaneamente da qualche centinaio di terminali. Non si capisce perché dovrebbe, ma la statistica è così: se Gino mangia due polli e Pino no, mangiano un pollo ciascuno. Su questo tutti i tecnici sono d’accordo.

Poi di colpo Fazio dice “un miliardo”, e trac! Di colpo la media scende da uno a tre a uno e sei. E il cambiavalute della Mongolia esterna a cui per la legge della statistica avevano appena lanciato un Pentium II se lo vede distruggere seduta stante da un paracadutista dell’ufficio stampa della Banca d’Italia. “Ci dispiace, è stato un errore. Il Governatore Fazio aveva sbagliato la stima per eccesso”.

E' geniale. Dovreste provarla.Restano comunque un bel po’ di computer. E non stiamo parlando di Vic20 o Olivetti ministeriali a carbonella, e neanche di 486: siamo seri, neanche un cambiavalute mongolo si metterebbe a trafficar valuta su un 486. No, bisogna che siano almeno dei Pentium. E ben connessi. D’accordo, ammettiamo pure che al mondo ci siano un miliardo di buoni computer connessi e abilitati al trading on line. Se le cose stanno così. Fazio ci ha appena detto che Echelon è una stronzata. Io a dire il vero lo sospettavo già, ma un parere tecnico fa sempre piacere.
Avete capito, CIA, FBI, M15, che da mesi cercate affannosamente notizie su Bin Laden in rete? Anche voi, fate pure su tutto e andate a guardarvi la partita. Non si può monitorare un miliardo di computer, l’ha detto Fazio, il governatore della Banca d’Italia.

E a questo punto, possiamo aggiungere, non c’è più nulla da fare. I computer ormai sono troppi, e si moltiplicano a vista d’occhio. Hanno già conquistato il mondo. Impossibile controllarli. Tanto vale abbandonarsi. È l’apocalisse? No, è il parere tecnico della Banca d’Italia. Chi dice il contrario è un utopista.
Anche chi fa notare che i computer abilitati al trading on line nell’Unione Europea devono essere meno, molti meno di un miliardo. E che monitorarli non dev’essere poi così difficile. In fondo un computer non è un pozzo nero, anzi, il problema dei computer è proprio che non cancellano niente. Altrimenti come farebbe la Consob a finanziarsi? , la Consob italiana si finanzia proprio grazie a una bassissima aliquota sulle transazioni valutarie. Quindi, tecnicamente, in Italia la Tobin Tax è possibile. Basterebbe alzare l’aliquota…
E se tecnicamente la cosa è possibile in Italia (la terra degli Olivetti ministeriali a carbonella), non si vede perché non dovrebbe esserlo in Francia (dove è una proposta è già stata approvata), in Germania, in tutta l’Unione Europea. Insomma, proviamo. Non è ancora detta l’ultima parola. In fondo basterebbe assegnare un cookie a ogni transazione valutaria fatta da un terminale. Io non saprei come fare, son mica un tecnico, io. Ma scommetto di conoscere almeno due o tre smanettoni capaci di farlo. E altri due capaci di trovare un bug e perfezionare il sistema. Prof. Fazio, ci ascolti, non sventoli la bandiera bianca. I Robot non hanno ancora vinto. Un altro mondo è ancora possibile. Magari è un po’ difficile da spiegare, però è possibile. E non è utopia, no. È solo una questione tecnica.

È molto semplice applicare la Tobin Tax!
Comments (1)

Permalink
Il leader della settimana

Siccome D'Alema ha chiesto esplicitamente di non cercare un leader della sinistra tutti i giorni, io sono qui a proporvi il leader della sinistra per la prossima settimana. Esso ha dei requisiti che mi sembrano fondamentali a ogni leader della sinistra che si rispetti:
- è una ragazza
- è carina
- il suo fidanzato è in giro tutta la settimana, a studiare filosofia (dice lui)
- conosce la Storia
- ma soprattutto, quel che più conta, sa parlare alla base. Giudicate voi:

Occasione da cogliere al volo!
Cara amica/amico di Attac,
ti ricordo che fare il banchetto e' divertentissimo. Non scherzo: conosci un mucchio di gente, fumi duemila paglie, bevi una cioccolata calda e quel che piu' conta raccogli tantissime firme! Non perdere l'occasione, vieni anche tu in piazza sabato 9/2 alle ore 15.30...e se ti piace ricorda che puoi replicare lunedi' mattina al mercato e i sabati successivi fino a luglio!!! Provare per credere...


E adesso diciamocelo: quando mai Fassino ci ha parlato così? Ma neanche Fausto. Ma neanche Rutelli. E neanche Moretti. E neanche Agnoletto. Tutta questa gente si muniusca di blocco appunti e si rechi a Modena, circoscrizione San Faustino, in via... in via... acc., mi dimentico sempre l'indirizzo.
Comments

Permalink

prima firma, poi leonardo



prima firma, poi leonardo

Comments (1)